3 – Giuseppe Brigoni
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Trait d’union tra l’esterno della vita cittadina e la calma del giardino interno, il grande vestibolo d’entrata rappresenta uno dei locali più raffinati del piano terra. In questo luogo di passaggio e di relazione, i due grandi altorilievi di Giuseppe Brigoni si fronteggiano, in una logica di dialogo estetico.
Nato a Medole nel 1901 da famiglia contadina, Brigoni rappresenta uno dei più grandi interpreti dell’aspetto rurale e bucolico tra gli artisti mantovani. Cresciuto inizialmente nell’atelier milanese di Prassitele Barzaghi, egli giunge a quello del grande maestro simbolista Leonardo Bistolfi, presso il quale il Nostro perverrà ad uno stile personale e di grande impatto. Sperimentatore e grande ricercatore di nuove pratiche, Brigoni perfezionerà la tecnica appresa dal commilitone Cafiero Luperini durante il servizio militare, del graffito bianco e nero su cera e nerofumo “graffiati” con la punta di un ago in cima alla cannuccia. Quest’elaborazione personale, insieme ad altri segreti del mestiere, saranno trasmessi tanto ai suoi amici artisti (come Carlo Imperatori, Guglielmo Cirani e Alessandro Dal Prato) quanto ai suoi allievi delle scuole di Botticino e di Guidizzolo.
In queste due opere degli anni Venti del Novecento è possibile cogliere l’intimità e la franchezza della sua arte, dove è la dimensione materica della campagna a darsi immediatamente. Un legame intimo e puntuale tra l’intuizione e l’espressione, tra il momento della captatio e quello del darsi nella forma sembra qui giungere a una sintesi temporalmente puntuale. Detto in altre parole, esse si offrono allo spettatore nello stesso momento, riproponendo non tanto la forza che scaturisce dall’opera dell’aratura della terra o quella più intima ma egualmente energica della mungitura nella piccola stalla famigliare, ma il silenzio che si inserisce tra due azioni: un intervento che ha il suo corrispettivo cinematografico in quella piccola striscia trasparente presente tra due fotogrammi. Le opere di Brigoni creano, dunque, uno spazio particolare, in una dialettica tra i poli del “gruppo” e quella della sfera più intima. Prendiamo il caso dell’Aratura. Nella bipartizione dell’opera, con la forza meccanicistica concretizzata nel trattore a destra e il “gruppo” a sinistra, la nostra attenzione non può che depositarsi sul gruppo di teste che ricorda un trattamento quasi di epoca romana che “accorpa” il gruppo, sicuramente non solo famigliare, e che giunge a una dichiarazione di valori assai chiara. Nell’altra scena di vita contadina, La Mungitura, Brigoni lavora il gesso con un’omogeneità ed una complessità straordinarie. L’opera supera ogni logica paratattica per svilupparsi intorno ed insieme alla figura centrale, al punto focale di tutta la cerchia di presenze umane o animali. La figura della donna sembra attrarre a sé le logiche interne dell’opera, creando momenti di condivisa lettura (a sinistra) o di ultima mansione giornaliera (il marito intento a mungere a destra). Pur non partecipando ad alcuna scena qui rappresentata, la donna è il cardine di tutta l’opera, senza la quale tutta la struttura (estetica, fisica e famigliare) verrebbe a crollare.